Nello scambio dialettico tra ricercatori – almeno quelli favorevoli all’impiego degli animali – e animalisti, ieri la parola è andata all’Accademia Nazionale dei Lincei. Gli scienziati di una delle più antiche istituzioni scientifiche d’Europa, nata nel 1603, hanno ricordato che la ricerca biomedica italiana sta vivendo una difficoltà senza precedenti a causa dei seri ostacoli a condurre test sugli animali. Una situazione che, insieme alla mancanza di fondi, si sta ripercuotendo anche su ricerche urgenti in questo periodo di pandemia, come quelle su farmaci e vaccini anti Covid-19. Nel documento della loro Commissione Salute, i Lincei rilevano come la ricerca italiana sia danneggiata dal decreto legislativo 26/2014 relativo ai test sugli animali e sollecitano al governo “la rapida eliminazione del decreto”.
COME L’ITALIA RISULTEREBBE DANNEGGIATA E CON QUALI CONSEGUENZE
Che tipo di danni? “Per esempio, rendendo difficile la collaborazione con colleghi stranieri di prestigio, necessaria per ottenere fondi europei; scoraggiando il rientro da altri Paesi dei ricercatori italiani più brillanti; rendendo impossibile la presenza in Italia dei laboratori preclinici delle industrie farmaceutiche multinazionali”, si legge nel documento. E con quali conseguenze? Lo stop ai test sugli animali “provoca effetti gravissimi anche a livello medico”, in particolare in un momento in cui “una sciagura come la pandemia Covid-19, oltre alle sofferenze, ai decessi, ai gravi problemi sociali ed economici, ha messo l’intero Paese di fronte al ruolo della ricerca e della medicina, strumenti essenziali per la protezione e per il futuro di noi tutti. A nostro giudizio, quindi – scrivono i Lincei -, l’eliminazione del decreto sarà ampiamente riconosciuta come di grande importanza per il nostro Paese”.
SI CERCANO METODI ALTERNATIVI MA GLI ANIMALI SONO ANCORA NECESSARI
Che cosa prevede il decreto? Il dlgs 26/2014 recepisce la direttiva 2010/63/Ue sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. Mentre gli altri Paesi europei hanno accettato la direttiva, che fissa condizioni analoghe per tutti, “l’Italia purtroppo non si è adeguata” e ha risposto con il decreto, introducendo “condizioni restrittive che, di fatto, costringono i ricercatori italiani ad operare in condizioni assai svantaggiate rispetto ai colleghi stranieri”. Anche se si sta facendo molto per trovare metodi alternativi ai test animali, purtroppo questi attualmente sono ancora necessari in molto ambiti della ricerca biomedica, spiegano gli accademici. In pratica? Il decreto impone “la moltiplicazione dei controlli necessari per l’approvazione dei progetti di ricerca. Basti pensare che, anche per l’impiego di un singolo topo, è necessario riempire questionari e descrivere minuziosamente il protocollo di ricerca che deve poi passare attraverso quattro Comitati di valutazione”. Previsto in Italia anche il pagamento di una tassa: “Per ogni progetto, infatti, è divenuto necessario il pagamento preventivo di una somma significativa, che alla fine risulterà sottratta al finanziamento della ricerca”.
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AGGIORNAMENTO – ANIMALISTI ITALIANI: TEST SU ANIMALI EVITABILI
“Investendo tempo e risorse economico-scientifiche sull’innovazione tecnologica, sarebbe possibile creare uno scenario in cui vengano totalmente aboliti gli esperimenti su altri esseri viventi. Ciò che continua a mancare è la volontà di investire seriamente su una ricerca veramente scientifica che sia rispettosa della vita di tutti!”. Lo scrive in un comunicato la ong Animalisti Onlus, commentando le recenti affermazioni dell’Accademia Nazionale dei Lincei, secondo la quale la ricerca italiana sarebbe fortemente danneggiata dal decreto legislativo 26/2014 che blocca i test sugli animali. “Perché si ignorano i grandi passi avanti negli studi di tossicità così da ridurre il numero di animali coinvolti nella sperimentazione? – prosegue la onlus -. Perché si ignorano i software capaci di riprodurre fedelmente il meccanismo d’azione di una sostanza nell’organismo umano, per ampliare ulteriormente le possibilità di adozione dei metodi sostitutivi? A nostro avviso è solo il movente economico che mantiene in vita la vivisezione; un indotto che, numeri alla mano, supera quello prodotto dall’industria bellica mondiale”. “Chiediamo pertanto al Governo non solo il mantenimento del decreto 26/2014 – conclude Animalisti Onlus -, ma soprattutto di investire maggiormente sulle nuove tecnologie, colmando così l’evidente divario esistente nella destinazione dei fondi per la ricerca, incrementando l’uso dei “modelli sostitutivi” nelle sperimentazioni scientifiche fino ad arrivare alla totale abolizione dell’utilizzo degli animali”.