L’utilizzo di metodi alternativi alla sperimentazione sugli animali in Italia è “ancora fermo al palo, anche se il nostro Paese ha recepito la direttiva europea che prevede l’uso di cavie solo quando non c’è altra possibilità. Ma in Italia le metodiche alternative continuano a essere poco finanziate e studiate. E’ però evidente che a livello europeo la strada è segnata e tra 20 anni non si potranno usare più gli animali. Occorre lavorare ora per non rimanere indietro”. Ad affermarlo è Maria Vittoria Ferrori, professore associato della Facoltà di Scienze politiche dell’Università Sapienza di Roma, che ieri ha coordinato il convegno all’ateneo romano tra giuristi e scienziati sul tema dei `Metodi alternativi alla sperimentazione animale´.
“Il convegno nasce da un progetto di ricerca multidisciplinare in ambito giuridico e scientifico tra il Dipartimento di Scienze politiche e quello di Scienze biochimiche – ha aggiunto Ferroni – ci è sembrato che in Italia ci fosse una carenza di informazioni su questo tema e abbiamo deciso di far incontrare scienziati di varia provenienza, come Thomas Hartung, del dipartimento di Microbiologia molecolare della John Hopkins University Bloomberg School of Public Health, con colleghi e giuristi della Sapienza. In Olanda e in Belgio si finanziano studi e lavori che portano avanti metodi alternativi ai test sugli animali. Da noi siamo ancora in alto mare”. Ne abbiamo scritto qui su 24zampe. Nel suo intervento Thomas Hartung ha ricordato come oggi gli scienziati abbiano delle alternative all’uso di topi e altre cavie per i loro esperimenti, ad esempio «il metodo su cellule in vitro – ha spiegato Ferrori – il professor Hartung ci ha illustrato i pregi e i difetti di questa pratica. Ha anche affrontato altre possibilità come la simulazione al computer, dove vengono immessi dati in potenti elaboratori che possono agevolare il lavoro dei ricercatori». (Kronos)