La Grande Barriera Corallina, che si estende per 2.300 km al largo della costa nordest dell’Australia, rischia il suo status di patrimonio mondiale Unesco, dopo che le sue condizioni sono retrocesse a “critiche”, cioè “severamente minacciate e bisognose di conservazione urgente”, in una ricognizione triennale dei siti del patrimonio mondiale. L’australian reef ospita 1.600 specie di pesci, 30 specie di balene e delfini, 130 specie di squali e razze e sei specie di tartarughe marine. Il rilevamento condotto dall’International Union for Conservation of Nature (Iucn), consulente del Comitato Unesco per il patrimonio mondiale, declassa la Barriera dalla posizione di “preoccupazione significativa” del 2017, a quella “critica”. Conclude inoltre che su scala globale il cambiamento climatico ha sostituito le specie invasive come la maggiore minaccia ai siti del patrimonio mondiale.
LE CAUSE DEL DISASTRO: CLIMATE CHANGE, SCARICHI AGRICOLI E TROPPA PESCA
La riclassificazione condurrà probabilmente a nuove pressioni da parte di campagne ambientaliste, perché la Barriera sia elencata come “in pericolo” in una riunione in Cina il prossimo anno – un primo passo verso una potenziale rimozione dalla lista del patrimonio mondiale. Una ‘bocciatura’ che sarebbe un duro colpo per l’industria turistica, che sta cominciando ora a riprendersi dall’impatto della pandemia di coronavirus. “Il cambiamento climatico, il deflusso di scarichi agricoli, gli impatti dello sviluppo urbano costiero e della pesca, costituiscono le maggiori minacce alla conservazione di lungo termine della Grande Barriera Corallina”, recita il rapporto della Iucn, detto World Heritage Outlook Report. Riconosce che la gestione della Barriera da parte dei governi federale e del Queensland è stata “estesa e innovativa”, ma nota che “restano preoccupazioni e le minacce complessive rimangono significative”.