In una Italia a mobilità frenata dall’emergenza sanitaria, anche chiusi in casa in lockdown, si può essere concretamente amici delle api in una sorta di pronto soccorso da remoto. “Basta avere una pianta di rosmarino, di melissa o di lavanda in terrazza per dare una mano agli apicoltori. Così come vanno bene le fragole in balcone o la moda degli alveari sui tetti, tanto in voga a Parigi come a Kiev in Ucraina, sono un bel modo per sostenere l’apistica che è una delle attività agricole più fragili”. A dirlo è l’esperto apistico marchigiano Pierluigi Pierantoni, presidente della Cooperativa Apicoltori montani di Matelica, nel sottolineare che “il 2020 è stato un anno No anche per le api e per chi ha fatto del miele, polline e derivati una professione. Soprattutto nella prima parte dell’anno faceva troppo freddo nelle terre più alte di notte e le fioriture hanno tardato. Non così disastroso come il 2018 ma comunque siamo ancora in difficoltà per l’assenza delle piogge. Da qui l’appello a chi vive in città”.
IN UN’ARNIA ANCHE 100MILA API CON COMPITI DIVERSI
L’ape, sottolinea con passione Pierantoni, “è l’insetto più evoluto in natura, ma un singolo esemplare non vale nulla. A rendere prezioso questo impollinatore è la sua entità sociale capace di creare la monarchia più democratica: un’arnia conta mediamente 100mila esemplari con ruoli socialmente condivisi. Ma a mettere in crisi questo sistema perfetto sono la chimica e le monoculture, in Veneto, Lombardia e Emilia Romagna in particolare. Nei campi non vedi più girasoli o un fiordaliso, e insieme agli sbalzi climatici, ne risulta un insieme di incertezze con forti oscillazioni nella produzione di un alveare che spazia da zero a 60 Kg”. (Ansa)