Coronavirus, più di 1.000 contagi in un mattatoio tedesco

Ancora un mattatoio epicentro di un focolaio di coronavirus. Stavolta accade in Germania. Sono 1.029 i dipendenti risultati finora positivi al test del coronavirus nell’industria della carne Toennies. Lo ha reso noto il Consiglio della circoscrizione di Guterloh, nel Land del Nordreno-Vestfalia. L’esplosione dell’infezione aveva già portato alla chiusura delle scuole e degli asili infantili nei giorni scorsi. Numeri che fanno aumentare i timori di una seconda ondata epidemica nel paese: il presidente del Land non ha escluso che si possa dover tornare a un lockdown per tutta la regione. Anche negli Stati Uniti uno dei più grandi focolai di coronavirus è scoppiato all’interno di un impianto di lavorazione della carne nel South Dakota e, a metà maggio, 115 impianti di lavorazione della carne dislocati in 19 dei 50 stati riportavano casi di Covid-19. In Italia, un macello pugliese è stato costretto alla chiusura per due settimane dopo che 71 lavoratori sono risultati positivi al virus. Altri grandi cluster sono apparsi in impianti di Canada, Brasile, Australia, Spagna, Irlanda e Francia.

An activist holds a banner reading "Meat is murder" outside the main Toennies meat factory that had to be shut down because of the coronavirus disease (COVID-19) outbreak among its employees, in Rheda-Wiedenbrueck, Germany June 20, 2020. REUTERS/Leon Kuegeler

Sul cartello esposto davanti all’impianto Tonnies si legge: “La carne è omicidio”. Nella foto in alto, invece, “Rispettate gli animali, non macellateli” (ph. REUTERS/Leon Kuegeler)

PERCHE’ I MATTATOI SONO COSI’ ESPOSTI?

Ma perchè il coronavirus sembra colpire con particolare accanimento questi impianti? Secondo l’ong animalista Essere Animali “durante questi mesi, gli operai impiegati nell’industria della carne hanno dovuto continuare a lavorare perché questo settore è stato sin da subito considerato essenziale, al pari di altre produzioni alimentari. Evidentemente però non sono state prese misure adeguate per limitare la trasmissione del virus, come ad esempio il distanziamento sociale. Questo in particolare, è praticamente impossibile da garantire sia nelle strutture stesse, che negli appartamenti dei lavoratori, che spesso sono migranti, hanno un contratto stagionale e condividono un’abitazione con altre persone. Per non parlare del rischio legato all’utilizzo del trasporto pubblico per raggiungere il luogo di lavoro”. Un’impressione condivisa dal professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri,  sentito dal Foglio: “I mattatoi diventano cluster di contagio perché spesso al loro interno le condizioni di lavoro sono miserabili. I lavoratori, che in buona parte provengono dall’est Europa, lavorano gomito a gomito in celle frigorifero e spazi freddi dove il virus si trova a suo agio. I ritmi frenetici e gli incarichi fisicamente pesanti fanno accelerare il respiro e rendono difficile mantenere le mascherine nella posizione corretta”. (aggiornato con le parole di Remuzzi e altri dettagli sulla geografia del fenomeno)

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