Negli ultimi 20 anni il numero degli animali usati in laboratorio è calato parecchio, grazie ai progressi nelle tecniche di studio e allo sviluppo di macchinari, ma la sperimentazione animale non è ancora sostituibile, perchè “nessun vetrino potrà mai riprodurre la complessità di un organismo vivente”. A dirlo è Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano, in occasione della Giornata mondiale degli animali da laboratorio, che si è celebrata ieri. “In due decenni sono migliorati molti tipi di apparecchiature e tecniche, che hanno permesso di ridurre parecchio il numero degli animali rispetto a quello dei ricercatori”, commenta Garattini. Per esempio, al Mario Negri, se negli anni ’70-’80 si usavano 100mila roditori l’anno per 350 ricercatori, oggi non si arriva a 15mila ratti e topi per 750 ricercatori. In passato per studiare il cervello, bisognava avere molti animali e sacrificarli dopo un certo tempo, mentre “oggi esistono tac e risonanze magnetiche anche per roditori, quindi non è più necessario farli morire”.
PER I TEST SU ANIMALI LA LEGGE CHIEDE QUATTRO AUTORIZZAZIONI
La sostituzione degli animali però è ancora un obiettivo se non impossibile, molto lontano al momento, secondo Garattini. “A parte alcuni casi come lo studio dell’insulina e per alcuni tipi di tossicità dermatologica, che ora possono essere fatti in vitro, gli animali sono ancora necessari alla ricerca scientifica – prosegue – tecniche alternative non ci sono, perchè la complessità di un organismo vivente è tale da non poter essere riprodotta in studi in vitro. L’uso di organoidi o mini-organi può essere complementare, ma non sostitutivo”. Per legge inoltre i ricercatori italiani devono avere prima l’autorizzazione di ben quattro organi (comitato etico animale, comitato del benessere animale, Istituto superiore di sanità e Ministero della salute) per fare sperimentazione animale, mentre per l’uomo basta il sì del comitato etico. “Il che significa aspettare 6 mesi per avere un’autorizzazione – conclude – ciò ci crea difficoltà per le collaborazioni con altri Paesi dove le procedure sono più snelle”. (Ansa)