A pochi giorni giorni dall’inizio dell’anno della Scimmia, è proprio nel segno dei diritti di questi animali che si accende il dibattito in Cina. Dopo la diffusione su Nature della notizia che scimmie dal Dna modificato con un gene umano sono utilizzate per studiare l’autismo dai ricercatori dell’Istituto di Neuroscienze dell’Accademia cinese, l’opinione pubblica è divisa tra chi condanna la sperimentazione su animali e chi, invece, è disposto a sacrificare i diritti dei primati pur di compiere passi in avanti decisivi nella comprensione e nella cura di malattie molto diffuse. Il gruppo di ricerca coordinato da Zilong Qiu, dell’istituto di neuroscienze di Shanghai, ha trasferito già nel 2011 nel Dna delle scimmie il gene umano MeCP2, associato a comportamenti tipici dell’autismo.
Nel 2015 sono nati 5 discendenti, tutti colpiti da forme di autismo più o meno grave. Nello stesso anno, uno è morto. Per i ricercatori il risultato “dimostra la fattibilità di utilizzare primati non umani geneticamente modificati per studiare disordini neurologici dello sviluppo” e “potrebbe contribuire allo sviluppo di strategie terapeutiche per trattare i disordini legati all’autismo”. Quella forma verbale condizionale è la ragione della protesta dei detrattori della sperimentazione: “potrebbe” non è abbastanza per sacrificare dei diritti, anche se animali. La Cina si è dotata di una normativa sulla sperimentazione animale nel 1998, rivista da allora due volte. Ma Sun Quanhui, della World Animal Protection International cinese, ha chiarito che nonostante le regole, “è un paese che difetta nella tutela degli animali”.