L’America e il mondo intero sono ancora scossi dalla morte di Cecil, il leone di 13 anni dalla criniera nera ucciso all’inizio dello scorso luglio nel Parco nazionale Hwange, in Zimbabwe, dal dentista americano Walter James Palmer. La scorsa settimana, a New York, l’Empire State Building è stato usato come sfondo per la proiezioni di immagini di animali in via di estinzione per un progetto voluto proprio per sensibilizzare le persone sul tema della protezione di alcune specie. Negli Stati Uniti, però, in pochi ricordano che un presidente americano condivideva la stessa passione del dentista più famoso, del mondo del quale le autorità africane hanno chiesto agli Usa l’estradizione. Theodore Roosevelt, 26° inquilino della Casa Bianca, nel marzo del 1909 (poco dopo aver lasciato la presidenza dopo 8 anni) ha ucciso il suo primo leone durante un safari in Africa accompagnato dal figlio Kermit. Sul sito “Almanac of T.R.”, qui, si possono trovare diverse immagini e scritti di Roosevelt sulla caccia grossa, tra cui la foto del presidente con il leone tra i Masai riportata in pagina.
A rinfrescare la memoria degli americani è il New York Times che pubblica un estratto del libro “African Game Trails: An Account of the African Wanderings of an American Hunter-Naturalist”, uscito un anno dopo il viaggio dello stesso Roosevelt nel continente africano e nel quale racconta le esperienze, le scoperte e le “peregrinazioni di un cacciatore e naturalista americano”.
Così scriveva Roosevelt: “Proprio di fronte a me, a 30 yard di distanza (circa 27 metri), è spuntato da dietro i cespugli che in un primo momento lo avevano coperto, un leone dalla fulva criniera. Crack, il Winchester parlò”. Roosevelt descrive il momento in cui il primo proiettile colpì il fianco dell’animale, che riuscì a schivare il secondo con un movimento istintivo ma che non evitò il terzo che, invece, gli attraversò la spina dorsale conficcandosi nel petto.
“Cadde giù a sessanta yard di distanza (55 metri), trascinando a terra il suo posteriore, la sua testa era all’insù, le sue orecchie abbassate e le sue fauci spalancate da cui lasciò partire un prodigioso ruggito mentre cercava di girarsi verso di noi”. Poi il momento del colpo di grazia: “La sua schiena era rotta, ma questo non rappresentava comunque una sicurezza così, Kermit, Sir Alfred e io, gli sparammo contemporaneamente nel petto. La testa cadde e morì”.
Una descrizione cruda che oggi farebbe impallidire molti e mobiliterebbe l’opinione pubblica ma che all’epoca venne recensita da Francis Collins, giornalista dello stesso Nyt, in maniera positiva sottolineando – come già dichiarato all’epoca e più volte dallo stesso Roosevelt – che la missione del presidente era “puramente scientifica e venne intrapresa per catalogare uccelli, mammiferi, rettili e piante per il National Museum di Washington e per il Natural History Museum di New York”.