Nell’ultimo anno, fra aprile 2016 e aprile 2017, gli apicoltori statunitensi hanno perso un terzo delle loro colonie di api, il 33%, per lo più a causa dell’acaro varroa e poi per un insieme di fattori tra cui altri parassiti, pesticidi e perdita di habitat. È quanto emerge dall’indagine annuale condotta dalla no profit Bee Informed Partnership. Il calo, spiegano gli scienziati, è in realtà più contenuto rispetto all’anno precedente ma non può definirsi “una buona notizia”: una percentuale simile resta ancora troppo alta. “Una perdita di colonie che va oltre il 30% nell’arco di un intero anno è alta”, spiega Dennis van Engelsdorp, docente dell’Università del Maryland e direttore di progetto per l’organizzazione che ha svolto l’indagine. È difficile, sottolinea, “immaginare un altro settore agricolo in grado di rimanere produttivo con perdite così consistenti”. La ricerca, realizzata in collaborazione con Apiary Inspectors of America, evidenzia che il calo registrato tra 2016 e 2017 è stato il secondo più basso dopo il -29% rilevato tra 2011 e 2012. Le perdite invernali sono state invece le più basse mai registrate in dieci anni, da inizio rilevazione. L’acaro varroa, seppure tenuto maggiormente a bada nell’ultimo anno, resta il nemico numero uno degli apicoltori americani. L’indagine fa parte di un progetto di ricerca più ampio volto a comprendere le cause del declino delle api e a migliorare gli sforzi di conservazione. Il ruolo delle api nell’impollinazione si stima abbia un valore 15 miliardi di dollari annui per l’agricoltura americana e di almeno 140 a livello globale, come ha stimato nel 2015 il Bbc Earth Index. Ne abbiamo parlato qui su 24zampe. In Cina ne sanno qualcosa: là si sta già ricorrendo alla “costosissima impollinazione manuale degli alberi da frutta”, raro esempio di “autolesionismo economico, assai poco sapiens”, scriveva ieri Telmo Pievani sulla Lettura del Corriere della Sera. (foto Gurinder Osan/Ap)
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