Come si sopravvive a un disastro nucleare ce lo diranno gli studi che un gruppo di scienziati stanno conducendo sui cani che vivono Chernobyl, in Ucraina. La centrale nucleare a circa 100 km da Kiev nell’aprile 1986 è stata teatro del più grave incidente della storia di questa tecnologia. Trenta tecnici muoiono subito ma le ricadute radioattive dell’esplosione e dell’incendio del reattore 4 nell’atmosfera fanno stimare un bilancio a lungo termine di migliaia di vittime per avvelenamento da radiazioni. Dopo la catastrofe gli abitanti hanno lasciato l’area che oggi è popolata praticamente solo da animali selvatici. Prosperano alci, caprioli, cervi rossi, cinghiali, lupi. Ma anche gli animali domestici abbandonati da chi fuggiva hanno creato una loro comunità. Gli scienziati che hanno pubblicato oggi sulla rivista Science Advances il primo dei loro studi si sono occupati di 302 cani che a Chernobyl vagano tra edifici in rovina all’interno e intorno all’impianto chiuso, in qualche modo ancora in grado di trovare cibo, riprodursi e sopravvivere. Il lavoro, spiega Ap, potrebbe insegnare agli umani nuovi trucchi su come vivere anche negli ambienti più difficili e degradati. “Abbiamo avuto l’occasione d’oro” per gettare le basi per rispondere a una domanda cruciale: “Come sopravvivi in un ambiente ostile come questo per 15 generazioni?”, si chiede la genetista Elaine Ostrander del National Human Genome Research Institute, uno dei tanti autori dello studio.
INSELVATICHITI MA ANCORA ATTRATTI DALL’INTERAZIONE CON L’UOMO
Il collega autore Tim Mousseau, professore di scienze biologiche presso l’Università della Carolina del Sud, ha affermato che i cani “forniscono uno strumento incredibile per esaminare gli impatti di questo tipo di ambiente” sui mammiferi in generale. Mousseau lavora nella regione di Chernobyl dalla fine degli anni ’90 e ha iniziato a raccogliere sangue dai cani intorno al 2017. La maggior parte di loro sembrano discendere da animali domestici che i residenti sono stati costretti a lasciare quando hanno evacuato l’area. Alcuni dei cani vivono nella centrale elettrica, un ambiente industriale distopico, altri sono a circa 15 chilometri e altri ancora a 45 chilometri di distanza. Dai primissimi studi sembra che i cani appartengano a una quindicina di diverse famiglie ma ora i ricercatori possono iniziare a cercare alterazioni nel dna e a cercare di distinguerne le cause. Gli scienziati hanno già iniziato a trascorrere più tempo con i cani di Chernobyl, in assenza – a ottobre scorso – di attività legate alla guerra. La squadra si è avvicinata ad alcuni cani, battezzandone uno Prancer (dal nome della renna di Babbo Natale protagonista di un film) perché saltella eccitata quando vede le persone. “Sono inselvatichiti ma apprezzano ancora molto l’interazione umana”, ha detto Mousseau (le foto sono proprio di Tim Mousseau).
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