Abbattere o non abbattere, questo è il dilemma che affligge l’Unione europea. Per frenare l’avanzata della peste suina africana l’Ue ha deciso di mobilitarsi, anche con la cooperazione tra paesi per l’abbattimento di cinghiali e maiali selvatici, vettori della malattia. E’ emerso dalla conferenza ministeriale tenutasi stamattina a Bruxelles, convocata dal commissario alla salute Vytenis Andriukaitis. Ma la caccia potrebbe non essere la soluzione bensì la causa, o almeno una delle tante, del dilagare dell’epidemia iniziata in Georgia nel 2007, che ha poi colpito la Russia e da lì è arrivata in Europa, dove ha infettato animali selvatici e allevamenti in ormai nove stati Ue: Polonia, i tre paesi baltici, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria, Ungheria e Belgio. In quest’ultimo paese da settembre a oggi sono 231 i casi di cinghiali trovati infetti e gli allevamenti di Francia e Germania sono ad alto rischio. La Danimarca, per proteggere un’industria vanto nazionale che vale 1,5 miliardi di euro l’anno, ha annunciato la costruzione di un muro anti-cinghiale alto 150 cm e lungo 70 km al confine con la Germania. Il rischio è alto anche per l’Italia, dove la peste suina africana è endemica in Sardegna da 40 anni. Per fermare la peste innocua per l’uomo ma devastante per gli allevamenti l’Ue vuole, tra le altre cose, tenere sotto controllo la popolazione di cinghiali con il coinvolgimento dei cacciatori. Ma il documento finale insiste sull’azione coordinata perché battute di caccia su larga scala potrebbero avere effetti indesiderati. Secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, il virus potrebbe essere arrivato in Europa proprio con cinghiali e maiali selvatici spinti verso l’Ue da battute di caccia su grande scala praticate dai russi.
