Due anni di reclusione per chi sopprime cani e gatti senza essere un veterinario. Nella vicenda affrontata dalla Cassazione (sentenza n. 4562/18), infatti, il Tribunale di Cremona ha condannato alla reclusione tre soggetti che, nella gestione di canili, con estrema crudeltà e senza necessità avevano soppresso decine e decine di cani e gatti. Molti decessi erano avvenuti perché agli animali erano stati inoculati farmaci che si usano per porre fine alle atroci sofferenze dell’animale in punto di morte. Ma questi animali, sulla base degli esami eseguiti a seguito, non stavano assolutamente in condizioni di salute gravi tali da giustificare il ricorso al medicinale e quindi da essere soppressi. Il tutto, peraltro, era stato effettuato non da soggetti veterinari ma da semplici volontari senza alcun titolo. E’ evidente quindi l’abuso della professione visto che solo ai professionisti è consentito porre fine alla vita degli animali dovendo ricorrere precise condizioni cliniche. Gli imputati si erano difesi rilevando che gli animali soppressi avevano al collo un cartellino identificativo a loro posto in funzione di un’eutanasia ufficiale. Nel caso di specie è stato evidenziato come già le sentenze di merito avessero posto in luce come le pratiche di eutanasia ascritte alle tre imputate configurassero delle ipotesi di esercizio della professione di veterinario, in quanto attività allo stesso riservate. Sono stati così dichiarati inammissibili i ricorsi, con la condanna per ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di 2mila euro a favore della cassa delle ammende. (Il Sole 24 Ore Radiocor Plus)
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