Nelle acque del Golfo del Messico l’ossigeno scarseggia e si è formata una “zona morta” da record, forse a causa dell’inquinamento derivante dalla produzione di alimenti destinati all’allevamento intensivo di animali da carne. Lo conferma l’agenzia americana Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration), che ha misurato un’area con bassi livelli di ossigeno di quasi 23mila chilometri quadrati, quanto la superficie della Toscana. Per gli scienziati è la maggiore “dead zone” mai osservata dal 1985, da quando sono cominciate le rilevazioni. Le zone morte marine sono quelle in cui i livelli di ossigeno sono talmente bassi da mettere in pericolo la vita dei pesci. Un contributo decisivo, spiega l’agenzia Usa, arriva dall’inquinamento portato in mare dal fiume Mississippi. Nutrienti derivanti da concimi, fertilizzanti e altre sostanze usate dell’industria agricola stimolano una crescita record di alghe che, decomponendosi, “rubano” l’ossigeno al mare, creando l’ipossia. Una perdita simile può obbligare i pesci a spostarsi in altre zone per sopravvivere, può diminuirne le capacità riproduttive e ridurre quantità e qualità del pescato. Con conseguenze non solo per l’habitat marino, ma anche per l’industria ittica della regione. Tra i responsabili di questo fenomeno ci sarebbe anche l’industria della carne, già sotto la lente degli ambientalisti per il suo ruolo nel riscaldamento globale e nella deforestazione. All’industria della carne, infatti, è già addebitata una quota significativa di emissioni di gas serra, intorno al 15%. E ora un rapporto dell’associazione Mighty, qui, evidenzia che gran parte dell’inquinamento da concimi e fertilizzanti nel Golfo del Messico proviene dalle enormi quantità di mais e soia utilizzate per allevare animali da macello. Secondo l’associazione ambientalista, guidata dall’ex deputato del Congresso Henry Waxman, tra le aziende più “inquinanti” c’è il colosso Tyson Foods. (foto Ap)
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