Una sentenza che innova, riconoscendo che la relazione tra cane e padrone è un “legame affettivo” a tutti gli effetti. L’ha emessa la Corte d’appello di Roma, condannando un veterinario che per negligenza ha causato la morte di un cane e riconoscendo al padrone il danno morale oltre che quello patrimoniale.
Non si può dunque considerare “futile” la perdita dell’animale, “specie nel caso in cui il rapporto sia radicato da tempo”, in quanto va a ledere la sfera emotivo-interiore del padrone. Sono queste, in sintesi, le motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Appello di Roma ha condannato un veterinario al risarcimento del danno morale, oltreché di quello patrimoniale, per avere causato con una sua condotta negligente la morte di un cane. Secondo quanto emerso dalla documentazione prodotta in giudizio, comprendente anche l’esame autoptico sull’animale, il cane sarebbe deceduto in seguito all’ingestione di un osso che avrebbe causato una occlusione dell’esofago con lacerazione dei tessuti e con un conseguente versamento di liquido. Una circostanza, questa, che, come confermato in appello, avrebbe potuto essere accertata con l’ausilio di esami clinici di routine, se il veterinario non avesse sbagliato diagnosi e successivamente non fosse stato in grado di correggere l’errore. Insomma, sembra suggerire la Corte d’Appello, se il professionista avesse individuato il problema in modo tempestivo, probabilmente avrebbe potuto salvare l’animale.
Esulta l’Enpa, l’Ente di protezione animali, con il presidente Carla Rocchi: “Una sentenza importantissima che riconosce il pieno e incontestabile riconoscimento del valore psico-affettivo della relazione uomo-animale, meritevole di adeguata tutela e di protezione giuridica, a prescindere dagli aspetti di natura patrimoniale. Contribuisce a fare chiarezza in un ambito giurisprudenziale dove non vi possono e non di devono essere dubbi interpretativi”. (AdnKronos)