AGGIORNAMENTO DEL 7 MARZO 2018 IN CODA – LE REAZIONI DI LAV E ENPA
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POST ORIGINALE
E’ vietato fare l’eutanasia ai cani quando si possono curare, perché hanno malattie, o temporanee indisposizioni, agevolmente superabili con qualche farmaco o con un po’ di tempo. Anche per questo la Cassazione ha confermato le condanne per maltrattamento animali nell’allevamento lager Green Hill di Montichiari, nel bresciano, dove cuccioli con appena un po’ di dissenteria venivano soppressi anziché curati. Gli imputati per i quali è scattata la sentenza definitiva – pene comprese tra un anno e un anno e mezzo di carcere – sono il direttore della struttura, Roberto Bravi, il legale rappresentante, Ghislaine Rondot, il veterinario responsabile, Renzo Graziosi, e la società proprietaria dell’allevamento Green Hill, dove si faceva sperimentazione su circa 2600 beagle, prima che venissero liberati dalle proteste degli animalisti e della popolazione locale nel 2012.
IL VERDETTO DELLA SUPREMA CORTE
Nel verdetto 10163 depositato oggi dalla Suprema Corte, si rileva che i cani sono stati sottoposti a “comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche” e, in alcuni casi, ad eutanasia per “patologie modeste e dopo periodi di cura troppo brevi, per le precise scelte aziendali di non curare adeguatamente i cani affetti da demodicosi e di non somministrare flebo a quelli affetti da diarrea”. Nelle motivazioni, la Terza sezione penale della Cassazione ha convalidato gli accertamenti dei giudici di merito bresciani, che avevano accertato che i beagle erano stati privati dei loro “pattern comportamentali”, e sottoposti a pratiche “insopportabili” quali la “tatuatura con aghi”, vietata dalla legge, l’assordante rumore e la sporcizia, il sanguinamento per le unghie tagliate fino alla base, pratica cruente che aveva anche provocato la morte di alcuni cani.
I BEAGLE VIVEVANO IN SITUAZIONE DRAMMATICA
Senza successo, gli imputati hanno cercato di difendersi davanti agli ‘ermellini’, che invece hanno sottolineato come la situazione drammatica in cui vivevano i beagle – in attesa della morte – era dovuta a “precise e consapevoli scelte decisionali di violazione delle corrette regole di tenuta dell’allevamento, adottate da soggetti pienamente dotati della competenza tecnica per comprenderne le conseguenze negative sugli animali. E il dolo degli imputati emerge con chiarezza anche dalla corrispondenza scambiata tra gli stessi”. La Cassazione ha condannato gli imputati anche a versare 2mila euro alla Cassa delle Ammende per l’infondatezza dei loro motivi di ricorso, e a rifondere 3.500 euro di spese legali all’Ente nazionale protezione animali, 3.500 euro alla Lega anti vivisezione, 3.500 euro alla Lega per la difesa del cane e 2.500 euro alla Lega antivivisezionista. (nella foto Simone Venezia/Ansa le persone in attesa della sentenza del processo Green Hill davanti al tribunale di Brescia il 23 gennaio 2015)
- Della vicenda Green Hill abbiamo scritto spesso, riportando anche le dichiarazioni dell’azienda: tutti i post sono raccolti qui.
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AGGIORNAMENTO DEL 7 MARZO 2018 – LE REAZIONI ANIMALISTE
LAV: “LA CASSAZIONE FISSA LIMITI ALLA SPERIMENTAZIONE”
“Non tutto è lecito in allevamento e a fini sperimentali: per la prima volta in Italia in tre gradi di giudizio è stato sancito che questi ambiti di attività hanno dei limiti e se operano oltre la norma speciale commettono reato!”. Lo scrive in un comunicato la LAV, parte civile nel processo che ha confermato in tre gradi di giudizio la condanna dei vertici di Green Hill – il Medico Veterinario, il Co-gestore e il Direttore dell’Allevamento di beagle di Montichiari (Brescia) per “maltrattamenti e uccisioni senza necessità”. La Lav è affidataria dei cani che furono sottoposti a sequestro giudiziario nell’estate del 2012. Ieri, 6 marzo, sono state depositate le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che il 3 ottobre 2017 ha definitivamente respinto il ricorso presentato dagli Avvocati di Green Hill. “Una sentenza che fa giurisprudenza – commenta la Lav – e che dimostra come le caratteristiche etologiche degli animali, anche se oggetto di sperimentazione, devono essere pienamente tenute in considerazione, così come per gli animali destinati a questa pratica non è possibile prevedere sistematicamente la loro uccisione o la mancanza di cure adeguate, solo perché ‘inservibili'”, spiega l’avvocato della Lav, Carla Campanaro.
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ENPA: “LA SENTENZA RIBADISCE CHE GLI ANIMALI HANNO DIRITTO ALLE CURE”
“Dalle motivazioni della Corte di Cassazione emergono i profili di uno scenario di sprezzante crudeltà che ha visto negate ai poveri cani le cure più basilari, con numerosi beagle uccisi nonostante fossero affetti da patologie tutt’altro che incurabili. Anche per questo, la sentenza con cui la Suprema Corte ha condannato i vertici dell’ex allevamento rappresenta una vittoria storica che chiude una delle una delle vicende più brutte e più tristi che nel nostro Paese abbiano interessato gli animali”, dichiara la presidente nazionale di Enpa, Carla Rocchi. “Ma questo pronunciamento – prosegue Rocchi – ha una portata che va al di là del caso specifico perché con il suo pronunciamento la Corte di Cassazione ha ribadito con forza un principio fondamentale: che gli animali hanno diritto alle cure e che l’eutanasia rappresenta una extrema ratio. La Suprema Corte ha così riaffermato che il rispetto della vita animale rappresenta un limite invalicabile”. L’Ente Nazionale Protezione Animali ha partecipato al procedimento in tutti i gradi di giudizio ed è stata rappresentata dall’avvocato Valentina Stefutti.