“Gli scimpanzé non hanno gli stessi diritti delle persone”. E’ con questa sentenza che il tribunale di appello di New York ieri ha rifiutato di ordinare la liberazione di due animali, Tommy e Kiko, in un santuario dei primati. La Appellate Division First Department di Manhattan si è espressa all’unanimità, con cinque voti a zero, contro la Nonhuman Rights Project (“Progetto per i diritti non umani”, un’associazione animalista) e il suo avvocato Steven Wise dopo un lungo dibattito sul fatto che gli scimpanzé in gabbia siano effettivamente “persone” legali e come l’uomo abbiano diritto alla libertà corporea. Gli scimpanzé, attualmente, sono detenuti da proprietari privati: Tommy è in una gabbia di cemento in un magazzino a Gloversville (nella foto), Kiko in un negozio alle cascate del Niagara. Non è servito all’avvocato Wise citare la primatologa britannica Jane Goodall, sostenendo che gli scimpanzè condividono molte capacità comportamentali, cognitive e sociali con noi. Nemmeno invocare l’habeas corpus (“che abbia corpo”), un diritto fondamentale che fissa il diritto alla libertà individuale contro l’azione arbitraria dello Stato. Per la corte d’appello, le capacità condivise “non si traducono in una capacità o nell’abilità di uno scimpanzé di assumere compiti legali o di essere ritenuti legalmente responsabili per le proprie azioni”. Del resto, “nessun animale a New York, in tempi recenti, ha mai affrontato la giustizia” nè “scimpanzè che hanno causato la morte o un grave danno a un essere umano sono mai stati perseguiti”, hanno detto i giudici. Pur riconoscendo i meriti dell’azione del Nonhuman Rights Project, il tribunale ha detto che questo “è un problema più adatto al processo legislativo”, ribattendo la palla nel campo della politica.