Settanta milioni di animali, gatti in particolare, mummificati nell’antico Egitto. Una vera e propria industria, che produceva “pezzi” sia per i padroni che volevano essere seppelliti con i propri animali domestici ma anche per chi era alla ricerca di un’offerta votiva da destinare a una divinità. Una storia che si (ri)scopre oggi, quando la mummia di un antico gatto egizio è tra i reperti che l’Università di Aberdeen, in Scozia, ha fotografato in 3D. Le riprese tridimensionali vengono realizzate con la tecnica della “fotogrammetria”, scattando centinaia di foto da angolazioni leggermente differenti e poi “incollate” insieme da un software che le rende interattive, per mettere a disposizione del mondo intero oggetti altrimenti difficilmente maneggiabili perchè molto delicati. Come la mummia di gatto che però, avverte l’ateneo, non è una rarità: nell’antico Egitto esisteva una vera “industria” di mummificazione di animali che produsse “più di 70 milioni” di pezzi. I gatti in particolare erano mummificati per essere sepolti assieme ai loro padroni ma anche per offerte votive a divinità come la dea Bastet, raffigurata con le sembianze di gatta. Altri dei con sembianze animali molto noti e “sfruttati” da questa protoindustria della mummificazione sono il toro-Apis, il falco, riconducibile sia a Horus che a Ra, la femmina del cobra-Wadjet, la mucca-Hathor, il babbuino-Thot e poi cani, coccodrilli, pesci e scarabei e altri ancora. Sottolineando che non si tratta di un gioco di parole intenzionale, l’università di Aberdeen informa che la sua mummia di gatto è stata passata anche attraverso un “CAT scanner” per appurare cosa contenesse sotto le bende: lo scheletro all’interno è “molto più piccolo” di quanto lascia supporre l’involucro che, secondo Neil Curtis, capo del Museo dell’ateneo scozzese, serviva a guadagnare di più vendendo un gatto votivo “grosso”. Sono passati seimila anni ma in certe cose l’industria non è cambiata poi molto…
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