Più di metà delle tartarughe del mondo e due terzi di alcune specie di uccelli lungo la costa orientale dell’Australia hanno ingerito plastica. Secondo uno studio dell’ente australiano di ricerca Csiro sull’impatto dell’inquinamento del mare sulla fauna, le proiezioni correnti indicano che per la metà del secolo circa il 95% di tutti gli uccelli marini avranno plastica nell’organismo. E, come è logico, molte delle tossine e delle sostanze chimiche contenute nella plastica presente in mare sono assorbite nel tessuto dei pesci, che a loro volta finiscono sulla tavola delle famiglie. “Gli uccelli sono in cima nella scala dei predatori e danno un’indicazione molto buona della salute dell’ecosistema nei nostri oceani”, scrive sul sito del Csiro la ricercatrice di biodiversità e impatto ambientale Denise Hardesty (nella foto sotto mentre “lancia” un drone utilizzato per controllare la presenza di rifiuti plastici sulle spiagge e, più sotto ancora, un uccello circondato da inquinanti, dal sito Csiro). “E’ chiaramente un problema che sta attirando sempre maggiore attenzione globale”, aggiunge, ricordando che la minaccia del crescente inquinamento marino è stata discussa poche settimane fa per la prima volta in un workshop del gruppo delle nazioni G20. Hardesty e i suoi collaboratori hanno sviluppato tecniche avanzate per individuare la materia plastica nell’organismo degli uccelli. Queste includono tamponi di campionatura che possono identificare sostanze chimiche plasticizzanti nell’olio che gli uccelli producono per impermeabilizzare le ali. Gli effetti fisici sugli uccelli marini che consumano plastica includono occlusioni intestinali e anche la morte. Quelli che sopravvivono, tipicamente subiscono una riduzione del volume di stomaco disponibile, il che porta a riduzione di peso. Infine, la plastica è correlata con sostanze organiche inquinanti che colpiscono ulteriormente le popolazioni di uccelli. La ong Greenpeace ha lanciato la campagna “Ban the bag” per informare sui pericoli della dispersione dei sacchetti di plastica nell’ambiente e una petizione, qui, per spingere consumatori e produttori a vietarne l’utilizzo (ultima foto sotto).
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