Si chiama ReTro il primo clone di una scimmia, un macaco rhesus nato in Cina e vissuto per oltre due anni in buona salute, che apre le porte alla clonazione dei primati. A 27 anni dal primo mammifero fotocopia, la pecora Dolly, oggi le prospettive di queste ricerche riguardano chiaramente la medicina rigenerativa, con la possibilità di avere a disposizione cellule staminali da utilizzare per ottenere organi in miniatura per studiare sia le cause dell’infertilità sia numerose malattie o per trovare nuove terapie. Si è arrivati a questo risultato, pubblicato sulla rivista Nature Communications e ottenuto dall’Accademia Cinese delle Scienze, modificando la tecnica con cui era nata Dolly in modo da fornire all’embrione clonato una placenta perfettamente funzionante, ossia un ambiente in grado di fornire ai geni le condizioni ottimali per attivarsi correttamente. Una novità sintetizzata nel nome dato alla scimmia, ReTro, dove ‘Re’ sta per rhesus e ‘Tro’ per trofoblasto, la struttura embrionale che dà origine alla placenta.
RICADUTE BENEFICHE SULL’UOMO
E’ una “tappa fondamentale” della medicina rigenerativa, commenta il biologo dello sviluppo Carlo Alberto Redi, presidente del comitato etico della Fondazione Veronesi e membro dell’Accademia dei Lincei. “E’ importante distinguere la tecnica dal prodotto della tecnica – aggiunge – anche perché nessuno sulla Terra può ragionevolmente pensare di utilizzare questa tecnica ai fini della clonazione umana”. Sono è invece “eticamente rilevanti” le ricadute benefiche nell’uomo. I cloni di scimmia sono infatti un “modello importantissimo per la biologia e la medicina e, di conseguenza “utilizzare la tecnica e non proibirla, come purtroppo accade in Italia”, aggiunge Redi, permetterebbe ricadute in molti ambiti scientifici: dalla comprensione dell’infertilità alla salvaguardia di animali in via di estinzione, allo studio di molte malattie mitocondriali. Il risultato è il frutto di un grandissimo numero di esperimenti, coordinati da Zhen Liu e Qiang Sun. Quest’ultimo nel 2018 aveva ottenuto i primi embrioni di scimmia portatori di malattie. Il primo autore della ricerca è Zhaodi Liao e fra gli altri contributi sono numerosi quelli da parte di esperti di neuroscienze. La scimmia è stata clonata con la tecnica del trasferimento nucleare, che consiste nel trasferire il nucleo di una cellula adulta, ossia la struttura della cellula che racchiude il Dna, in un ovocita privato del suo nucleo in modo da farla regredire al punto che, se viene trasferita in utero, è in grado di dare origine a un embrione. Tuttavia è sempre stato difficile ottenere cloni di scimmia in grado di sopravvivere.
LA TECNICA UTILIZZATA
A individuare il problema sono stati i ricercatori cinesi, che hanno individuato nella placenta il punto debole della catena. Per questo, dopo avere clonato l’embrione, hanno aggiunto un passaggio: hanno isolato il tessuto embrionale che dà origine all’individuo (massa cellulare interna) dal trofoblasto e l’hanno trasferito in un altro embrione (non ottenuto per clonazione) privato delle cellule che danno origine all’embrione ma non di quelle da cui è generata la placenta. In questo modo l’embrione clonato si è trovato ad avere una placenta sana. “Utilizzando questo approccio, abbiamo ottenuto la nascita di un clone sano di scimmia rhesus sopravvissuta per oltre due anni”, osservano i ricercatori. “Nonostante questo risultato riguardi un solo clone di scimmia, la nuova tecnica – aggiungono – potrebbe rivelarsi vincente per poter clonare i primati in futuro”. Si complimenta con i colleghi cinesi anche lo scienziato italiano Cesare Galli: “E’ una mole di lavoro immensa e sembra un lavoro fatto bene”, commenta il papà del primo toro clonato Galileo e della cavalla Prometea, che con il laboratorio Avantea sta collaborando attualmente a un progetto per il salvataggio del rinoceronte bianco del Nord dall’estinzione.
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