AGGIORNAMENTO DEL 13 NOVEMBRE 2021 – A OSTIA NESSUN NUOVO DECESSO DI ANIMALI
“Prosegue l’attività di sorveglianza negli allevamenti in zona di protezione e sorveglianza senza segnalazioni ad oggi di mortalità. In accordo con il Centro di referenza di Padova, con il quale nella giornata di ieri si è svolta una riunione operativa, saranno prelevati campioni su tutti i suini nei prossimi giorni, circa cento, per le verifiche”. Lo comunica in una nota l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana in un aggiornamento sul focolaio di influenza aviaria riscontrato in un allevamento di Ostia (Roma). (Adnkronos Salute)
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POST DEL 10 NOVEMBRE 2021
Dal Veneto al Lazio all’Emilia-Romagna. E domani chissà dove. Dopo i focolai dei giorni scorsi nel nordest, ieri è arrivato anche a Roma un caso di influenza aviaria, con la scoperta di un animale infetto in un allevamento di Ostia Antica, con un “focolaio di aviaria di sottotipo H5 HPAI” subito messo dalla Regione Lazio all’interno di una “zona di protezione nel raggio di 3 chilometri e di sorveglianza in una fascia di 10 chilometri”. Si tratta di virus che colpiscono gli animali e che mai in Italia hanno riguardato l’uomo, spiega più avanti Guido Grilli, docente di Patologia aviare a Milano. Nonostante le critiche degli animalisti di Enpa e Oipa – per i quali gli allevamenti intensivi sono luoghi di coltura ideale di questi virus e che non smettono di ripetere che “è tempo di scelte etiche” – stamattina un altro focolaio nel Basso ferrarese ha portato, per ora, al sequestro precauzionale di quasi 50mila tacchini destinati alla produzione di carne.
NEL FERRARESE 50MILA TACCHINI SEQUESTRATI
Oggetto del provvedimento un allevamento avicolo a Lagosanto che fa capo – scrive la Nuova Ferrara – a una società parte del gruppo Amadori. Il focolaio di influenza aviaria, secondo quanto riportato, è stato riscontrato lo scorso 5 novembre e il virus rilevato è di tipo A H5N1, con un livello che viene definito “di bassa patogenicità”. È scattata l’allerta all’Asl di Ferrara e all’amministrazione comunale che hanno adottato provvedimenti urgenti per impedire il diffondersi della malattia. L’ordinanza firmata dal sindaco Cristian Bertarelli al momento dispone il sequestro degli animali in allevamento, col divieto di farli uscire, sia vivi sia eventuali carcasse. Divieto anche di introduzione di altri animali. Impedito l’accesso a chiunque non sia impegnato nella gestione del focolaio.
CENTINAIA DI MIGLIAIA DI ANIMALI INTERESSATI IN VENETO
Anche in Veneto è allarme per l’influenza aviaria, con un virus di sottotipo H5N1 che per Copagri ha colpito numerosi allevamenti nel veronese, zona nella quale si contano ormai circa una ventina di focolai, con diverse centinaia di migliaia di capi interessati. Questo nonostante al momento, riferisce la confederazione agricola, la situazione appaia relativamente sotto controllo. “Riteniamo fondamentale, vista l’aggressività e la pericolosità del virus, – sottolinea il presidente di Copagri Veneto Carlo Giulietti – mettere tutta l’attenzione del caso sulla necessità di attenersi strettamente alle misure di biosicurezza indicate dalle autorità competenti”. Gli allevamenti avicoli devono “rispettare i protocolli individuati per evitare il rischio di contagi indiretti”, porre “attenzione quindi alla disinfezione dei camion, all’ingresso e all’uscita dall’azienda, e all’utilizzo di calzari e abbigliamento dedicato, evitando il contatto diretto tra uccelli selvatici e pollame e limitando le visite esterne in allevamento”.
GLI ANIMALISTI: PIU’ CONTROLLI NEGLI ALLEVAMENTI INTENSIVI
“Animali da anni allevati in capannoni invece che all’aperto, imbottiti di antibiotici, tenuti in condizioni pessime, e poi ci stupiamo dell’esplosione di virus di influenza aviaria? Le persone dovrebbero sapere cosa mangiano, non si chiedono più da dove proviene la carne di animale che mettono nel piatto dove finiscono appunto uccelli malati”, sostiene Carla Rocchi, presidente nazionale dell’Ente Nazionale per la Protezione degli Animali (Enpa). “Poi magari partono gli indennizzi per l’abbattimento di polli, un circuito che a me sembra piuttosto una forma di pazzia collettiva: si creano le condizioni dell’epidemia nell’allevamento, si abbattono gli animali e i titolari delle aziende agricole si prendono i risarcimenti. Intanto la gente mangia ‘schifezze'”. “Il nostro Pianeta, con queste epidemie, ci sta dando dei forti segnali – dice Rita Corboli, delegata dell’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) di Roma -. Fa sempre effetto in questi casi sapere che vengono uccisi animali, anche quelli sani, per responsabilità dell’uomo, chiamato – ormai è tempo – a fare scelte più etiche passando per esempio ad una alimentazione vegetariana o vegana”. “Lo stress che subisce l’animale, specie in un allevamento intensivo, produce un abbassamento delle difese immunitarie, di conseguenza è più soggetto a virus. Ed ecco che di volta in volta assistiamo all’esplodere di epidemie di influenza aviaria. Servono più controlli da parte delle Asl veterinarie sugli allevamenti”. Un’annotazione: a vedere le immagini della galleria fotografica sopra, quello di Ostia non sembra un allevamento in cui gli animali vivono al chiuso in un capannone, anzi.
IL VETERINARIO: DIFFICILE COLPISCA L’UOMO
“Non abbiamo mai avuto finora casi umani di influenza aviaria in Italia, per fortuna”. Intanto, “non è semplice per questo virus colpire l’uomo”. Ci sono stati piccoli focolai in particolare nel Sudest asiatico, “ma non da noi. Siamo meno esposti anche per il tipo diverso di vita che facciamo: non dormiamo con gli animali e abbiamo allevamenti specializzati: chi ha tacchini ha solo quelli, chi ha polli da carne ha solo quelli”. A spiegarlo all’Adnkronos Salute è Guido Grilli, docente di Patologia aviare alla facoltà di Veterinaria dell’università degli Studi di Milano. “Il problema del passaggio” di specie, e di un eventuale salto all’uomo, precisa l’esperto, “è legato al fatto che si può modificare il virus solo se c’è un passaggio in un altro animale. Noi abbiamo pochissimi recettori per il virus dell’influenza aviaria e ce li abbiamo solo a livello polmonare. Perciò il virus deve essere respirato in grandi quantità e riuscire ad arrivare direttamente negli alveoli, perché se si ferma prima non attecchisce”. In definitiva, osserva Grilli, oggi come oggi “è molto più pericolosa la West Nile e fa più morti”.