Torna la “grindadràp”, la mattanza delle balene delle isole Faroe, l’arcipelago a governo autonomo posto tra l’Islanda e la Norvegia nell’oceano Atlantico del Nord, parte del Regno di Danimarca. Anche quest’anno centinaia di cetacei sono stati uccisi tra la disapprovazione globale e l’apparente assenza di condivisione emotiva locale. Gli animali marini sono spinti nelle 23 baie autorizzate dalle barche dei pescatori dove tutta la comunità isolana – adulti ma anche bambini di cinque anni – partecipa al massacro armata di coltelli, corde uncinate e arpioni. “Siamo rimasti fermi, senza parole e un po’ turbati”, hanno raccontato studenti inglesi in gita. Molti degli animali sono stati lasciati a contorcersi sui pontili per molto tempo prima di essere uccisi e “l’urlo delle balene era orribile, non sono morti in modo molto umano”, hanno aggiunto. La grindadràp fornisce alla popolazione abbastanza carne di balena per nutrirsi durante i freddi mesi invernali, si giustifica il portavoce del Ministero degli Affari Esteri e del Commercio delle Isole Faroe, “carne che altrimenti andrebbe importata dall’estero”. In media le circa 900 balene pilota catturate all’anno forniscono circa 500 tonnellate di carne di balena e grasso, il 30% della produzione totale locale. Ma la pratica è da sempre criticata dagli attivisti per i diritti degli animali, che ritengono il rituale crudele e non necessario. Nelle foto, scattate sulla banchina di Jatnavegur vicino a Vagar, le balene sollevate sulla banchina vengono macellate e il pescato suddiviso secondo un intricato e tradizionale sistema di distribuzione tra i partecipanti alla caccia e gli abitanti locali. Tutto è previsto dalla legislazione locale: i metodi di cattura, di uccisione e quali attrezzature sono consentite. (foto Afp e Reuters di Mads Claus Rasmussen/Ritzau Scanpix)
