Tre quarti delle creature marine che vivono negli abissi sono in grado di emettere luce propria attraverso una serie di reazioni chimiche che determinano il fenomeno della bioluminescenza. A stimare per la prima volta il loro numero è un censimento ‘pilota’ fatto in un canyon sottomarino in California dai ricercatori dell’acquario della baia di Monterey, pubblicato sulla rivista Scientific Reports. L’indagine è stata condotta da Séverine Martini e Steve Haddock annoverando tutti gli animali marini più grandi di un centimetro che erano stati filmati durante 240 immersioni effettuate fino a 4mila metri di profondità dalle sonde robotiche dell’acquario nel Canyon di Monterey. I 350mila organismi riconosciuti sono stati poi confrontati con quelli di un grande database che comprende tutti gli animali bioluminescenti noti finora. I risultati dimostrano che la proporzione tra animali bioluminescenti e non bioluminescenti è uguale a tutte le profondità del mare, sebbene cambino le specie: dalla superficie fino a 1.500 metri di profondità, ad esempio, la luce è prodotta soprattutto dalle meduse e dai loro ‘cugini’ gelatinosi, gli ctenofori; tra i 1.500 metri e i 2.250 metri di profondità, ad illuminarsi sono soprattutto i vermi marini; più sotto ancora, si trovano piccoli animali simili a girini (chiamati ‘larvacei’) che rappresentano la metà degli animali bioluminescenti. Non tutti i gruppi di animali marini si sono dimostrati ugualmente ‘brillanti’: il fenomeno della bioluminescenza è risultato presente nel 97-99,7% degli cnidari (a cui appartengono anche le meduse), mentre si ritrova solo nella metà nei pesci e dei cefalopodi come calamari e polipi. (Ansa)
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