Oltre la metà della popolazione mondiale di saighe, una specie rarissima di antilope considerata tra gli animali a maggior rischio d’estinzione, è morta nel giro di un paio di settimane, e a distanza di mesi gli esperti ancora non sanno il perché. Dell’animale, un tempo diffuso nelle steppe euroasiatiche e oggi confinato in poche aree di Kazakistan, Russia, Mongolia, nella primavera scorsa si era registrato un numero impressionante di decessi, inizialmente stimato in 120mila esemplari (nella foto di Sergei Khomenko/FAO alcuni esemplari morti). Ma il bilancio ora è stato corretto al rialzo fino ad arrivare ad almeno 211mila esemplari, e le previsioni sulla sopravvivenza della specie sono tutt’altro che rosee. L’argomento è stato affrontato la settimana scorsa in Uzbekistan con i rappresentanti dei Paesi interessati.
Le analisi di campioni di terreno e acqua hanno escluso presenze significative di tossine e inquinanti. Una delle ipotesi iniziali era che le morti potessero essere state provocate dai gas dei carburanti prodotti dall’attività del programma missilistico kazako. Tolto l’avvelenamento, una delle possibili cause sembrerebbe essere un batterio, chiamato pasteurella, presente nelle antilopi in uno stato dormiente, e “svegliato” da fattori ambientali. Per il professor Richard A. Kock del Royal Veterinary College londinese, intervistato dal New York Times, (che si era già occupato della vicenda qui), il cambiamento climatico, con l’aumento delle temperature, potrebbe aver indebolito le difese delle antilopi ed essere quindi tra le cause del risveglio del batterio, che si è trasformato in un patogeno letale portando alla morte degli animali nell’arco di poche ore. In questa eventualità, lo scenario è allarmante. “Non è qualcosa a cui la specie può sopravvivere”, ha detto Kock. “Se ci sono fattori ambientali scatenanti abbastanza diffusi, si può arrivare all’estinzione entro un anno”. (Ansa)