Il gregge toscano finisce in Cassazione, ma il rumore dei belati non vale il risarcimento

Anche i belati degli ovini finiscono in tribunale. Protagonista di una curiosa battaglia a suon di carte bollate che va avanti ormai da dieci anni, una coppia di Sansepolcro, nell’aretino, disturbata, mattino e sera, dai belati degli ovini del vicino pascolo. Un disturbo continuo che ha portato la coppia esasperata a rivolgersi persino alla Cassazione per chiedere il risarcimento del “danno esistenziale da inquinamento acustico e limitazione di movimento” dovuto – a loro dire – dai “beeeeeeeh” delle pecore e dal “don don” dei campanacci.
La battaglia giudiziaria è iniziata nel 2006 e, in un primo momento, il giudice di pace di Sansepolcro ha riconosciuto l’effettivo danno causato dai belati alla coppia, rifondendola con diecimila euro. Tre anni dopo il Tribunale di Arezzo ha negato il danno esistenziale alla coppia esasperata dai belati, sostenendo che non era stata fornita alcuna prova del danno. I coniugi aretini non si sono dati per vinti e hanno pensato che la battaglia fosse diventata una questione di principio da portare avanti fino all’ultimo grado di giudizio. Eccoli quindi in Cassazione ma la Suprema Corte, dopo altri cinque anni, ha dato il responso definitivo: malgrado l’effettivo disturbo, non si può mettere la sordina ai belati del gregge (sentenza 17013/2015). Ha così confermato l’obbligo per i pastori di tenere le pecore in un recinto a un centinaio di metri dalla casa di chi aveva fatto loro causa, ma non a risarcire il “danno esistenziale”.
“Il tribunale – hanno infatti spiegato i supremi giudici con dovizia di particolari – ha osservato che i testi sentiti avevano confermato la sussistenza ed intollerabilità delle immissioni sonore provenienti dal gregge al pascolo in prossimità dell’abitazione degli attori, senza che da ciò si deducessero elementi utili alla dimostrazione di un danno risarcibile”. Insomma, la coppia non ha “offerto alcuna prova idonea a documentare la verificazione di un pregiudizio, derivante dalle lamentate immissioni, alla loro vita quotidiana, con conseguente impedimento o difficoltà nello svolgimento di attività che ne costituivano parte integrante”.
Tutto sommato, le cose sono andate meglio al signor Lupo di Montecorvino Rovella, nel salernitano, che ha ottenuto che Lazzaro, proprietario di un gregge che aveva un poco sconfinato, rimanga venti giorni a casa, in “permanenza domiciliare”, per avere abbandonato gli animali, al fine di farli pascolare, nel suo fondo, danneggiando piante di castagno.