Si torna a parlare di Green Hill. La Procura di Brescia ha concluso l’inchiesta bis sull’allevamento di cani destinati alla vivisezione chiuso a Montichiari, nel bresciano, nell’estate del 2012. Nel gennaio scorso i vertici dell’allevamento sono stati condannati al termine del processo di primo grado. Ora il sostituto procuratore Ambrogio Cassiani ha iscritto cinque persone nel registro degli indagati, tra i quali ci sono due veterinari dell’Asl di Lonato, in provincia di Brescia, Roberto Silini e Chiara Giachini, accusati di maltrattamento e uccisione di animali e di falso ideologico in atto pubblico e omessa denuncia. Devono invece rispondere di falsa testimonianza tre dipendenti della società Green Hill, Cinzia Vitiello, Antonio Tabarelli e Antonio Tortelli, perchè nel corso del processo di primo grado non avrebbero raccontato la reale situazione che c’era all’interno dell’allevamento.
“Siamo soddisfatti per questa indagine – dichiara la Lav – che prelude a un processo Green Hill bis e siamo pronti anche a continuare in Corte d’Appello”. Ma la Lega antivivisezionista si spinge oltre, chiedendo di indagare anche altre responsabilità: “Riteniamo che l’inchiesta debba ora coinvolgere non solo i veterinari locali dell’Asl ma anche quelli che, intervenuti a più riprese, alcuni addirittura come consulenti della Procura prima del 2012, appartenenti all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Brescia, al Servizio Veterinario della Regione Lombardia e al Ministero della Salute, hanno sempre scritto che a Green Hill tutto andava bene”.
Anche l’Enpa ha una posizione analoga: “Continueremo ad essere in prima linea non soltanto contro gli autori materiali delle sevizie, dei maltrattamenti e delle uccisioni ma anche contro tutti coloro i quali hanno permesso che tali reati venissero compiuti impunemente. Se sarà celebrato un nuovo processo chiederemo di essere presenti ancora una volta quale parte civile», dichiarano all’Ente di protezione animale.
All’Appello si stanno preparando anche gli avvocati di Green Hill. I responsabili dell’allevamento di beagle condannati in primo grado hanno infatti presentato ricorso, ne abbiamo parlato qui sul Sole 24 Ore. I vertici dell’allevamento di cani di Montichiari hanno contestato la sentenza ritenendola “fondata sull’erronea applicazione delle norme e sul travisamento dei fatti e delle prove”, hanno ribadito di avere rispettato il decreto 116/92 che regolamenta la tutela degli animali utilizzati nella ricerca, di aver gestito correttamente l’allevamento e di non aver mai eseguito alcuna forma di sperimentazione scientifica sugli animali.