Nel Regno Unito meno animali utilizzati nella ricerca?

Nel Regno Unito, una campagna per ridurre l’impiego di animali per la ricerca sta causando le proteste del mondo scientifico. Una tale mossa bloccherebbe di fatto circa l’89% degli studi sugli animali che vengono svolti. La campagna è stata avviata di recente dalla British Union for the Abolition of Vivisection (Buav), l’Unione britannica per l’abolizione della vivisezione, un gruppo di pressione che si prefigge di scrivere la parola fine sotto tutti gli esperimenti sugli animali. Tra le sue fila, a firmare un articolato impegno in sei punti, ci sono membri del Parlamento e candidati in corsa per alcune delle poltrone nel Governo che uscirà dalle prossime elezioni previste a maggio.

Questo è solo l’ultimo sforzo tra gli attivisti dei diritti degli animali per convincere le aziende a ridurre, se non proprio a eliminare, l’uso di esseri senzienti per sviluppare i loro prodotti. Negli Stati Uniti, la People for the Ethical Treatment of Animals (Peta), associazione impegnata a perseguire il trattamento etico degli animali, ha sempre cercato di intervenire sui produttori di medicinali, provando a pilotare i voti degli azionisti in tema di utilizzo di animali per la ricerca.

In questo caso, il gruppo di pressione britannico mira a sei obiettivi diversi: 1. Vietare l’uso di cani e gatti in ricerca. 2. Bloccare le importazioni di scimmie nei laboratori del Regno Unito.  3. Impedire esperimenti su animali che non siano finalizzati a portare benefici alla salute dell’uomo. 4. Vietare la pratica di modifica del patrimonio genetico di animali. 5. Fornire maggiore trasparenza circa l’uso di animali nella ricerca. 6. Impedire alcune pratiche che possono provocare la sofferenza degli animali.

«Ci ​​auguriamo che molti membri del Parlamento favoriscano le riforme in questo settore» spiega Nick Palmer della Buav. «Dagli eletti, ci aspettiamo che lavorino con noi per discutere e realizzare con il Ministero degli Interni le nostre proposte». E’ infatti l’Home office a sovrintendere a varie funzioni di governo, inclusa la Animals in Science Regulation Unit che regolamenta l’utilizzo degli animali nei processi scientifici. Secondo i dati, solo il 13% dei 4 milioni di animali utilizzati nei test nel 2013 ha coinvolto lo sviluppo di farmaci per gli esseri umani. Nel 2011, il 9% di primati non umani sono stati utilizzati nella ricerca medica che non ha fornito alcun «beneficio scientifico, medico o sociale certo».

Il rapporto Bateson, che ha esaminato 67 progetti accademici tra il 1996 e il 2006, è stato commissionato da organizzazioni che finanziano la ricerca su animali nel Regno Unito, tra cui la Wellcome Trust, il Medical Research Council e il Biotechnology and Biological Sciences Research Council.

La campagna ha allarmato gli scienziati. «I sei obiettivi della Buav potrebbero distruggere la ricerca britannica – spiega con preoccupazione Tom Holder, direttore di Speaking of Research, un gruppo di sostegno alla ricerca scientifica del Regno Unito -, determinando la fine di oltre l’88% degli studi sugli animali. Tutta la ricerca veterinaria sarebbe finita. E paralizzerebbe la nostra capacità di fare progressi sulla cura del cancro, sulle malattie cardiache e in molte altre aree di ricerca, che si basano su studi su animali geneticamente modificati».

«I regolamenti britannici sono tra i più severi al mondo: è già illegale utilizzare un animale se esiste una valida alternativa non animale – continua Holder, citando un sondaggio del Governo effettuato nel 2014 -. Dato che gli studi sugli animali hanno contribuito a quasi ogni trattamento medico moderno che usiamo oggi, non è una sorpresa se il 68% della popolazione britannica è favorevole  all’uso degli animali nella ricerca medica».

Inoltre, sempre secondo la stessa ricerca, il numero di animali utilizzati è già in calo. Nel 2013, per esempio, sono stati utilizzati poco più di 4 milioni di animali, in calo del 0,4% rispetto al 2012. Se suddivisi per specie, il 76% erano cavie, il 12% erano pesci, il 7% erano topi, il 3% erano uccelli e il 2% erano di altre specie. Cani, gatti e primati non umani, tutti insieme, rappresentavano meno del 0,2% del totale. Nonostante questo, secondo Nick Palmer della Buav «la principale preoccupazione delle persone coinvolte nelle decisioni politiche è che molti esperimenti non sembrano portare a benefici per gli esseri umani. Ad esempio, soltanto gli studi che dimostrano che sono noti effetti umani vengono replicati in altre specie. In altri casi, gli studi non sono effettuati per ragioni mediche ma per testare prodotti igienici».

Per quanto riguarda i produttori di farmaci, non hanno particolari ostilità verso la campagna della Buav, ma ci tengono a fare il punto sulla necessità di usare animali nella ricerca: «Senza usare animali vivi, molte malattie gravi non avrebbero potuto essere efficacemente curate nel modo in cui lo sono oggi», dice Virginia Acha, direttore della ricerca medica e l’innovazione alla Association of British Pharmaceutical Industry. «La ricerca che utilizza animali è attualmente essenziale per colmare il divario tra la teoria della provetta e la realtà di un nuovo trattamento sicuro ed efficace per il paziente. Noi usiamo gli animali solo quando è necessario e quando alternative idonee non sono disponibili. L’industria è fortemente impegnata a sostenere il principio delle 3R nella ricerca utilizzando gli animali: sostituire (Replace), ridurre (Reduce) e perfezionare (Refine)».

(DowJones)