La lotta per la sopravvivenza nel mondo animale riflessa nella vita umana e l’amarezza e l’introspezione degli autoritratti raccontate in ottanta opere del pittore Antonio Ligabue, in mostra al Palazzo Reale di Palermo da oggi al 31 agosto. L’esposizione propone un excursus storico e critico sull’attualità dell’opera di Ligabue che, seppur incentrata su pochi temi sempre ripetuti e sempre rinnovati, rappresenta ancora oggi una delle punte più interessanti dell’arte del Novecento. La rassegna monografica “Antonio Ligabue (1899-1965). Tormenti e incanti” intende fare conoscere i diversi esiti dell’opera dell’artista, nel corso della sua attività (dagli anni Venti al 1962), declinati nelle diverse tecniche attraverso le quali Ligabue si è espresso. Oltre sessanta opere ad olio, cinque sculture in bronzo e una sezione dedicata alla produzione grafica con disegni e incisioni: tra le opere a Palermo anche quattro inedite, mai esposte prima, che rappresentano figure di animali: Volpe in fuga col gallo in bocca (1943-44), Cavalli, Leopardo con Antilope e Rapace (nella foto una delle opere in esposizione: “Gatto con topo”, olio su tavola di faesite, 1956-57, da collezione privata). La mostra, anche attraverso le scelte di allestimento, permetterà di approfondire e scavare nei nuclei tematici fondamentali dell’artista, per vedere sia come variano nel tempo i suoi centri di interesse sia come si evolve un particolare motivo, e i reciproci transiti dall’uno all’altro. “Due sono i filoni fondamentali – ha detto il curatore Sandro Parmiggiani – cui si è dedicato Ligabue: gli animali esotici, della foresta, e comunque tutti quelli che possono essere definiti predatori; gli autoritratti, un capitolo di dolente, amara poesia. Non mancano tuttavia altri soggetti, quali le scene di vita agreste e gli animali domestici, e alcuni ritratti su commissione”. L’artista studiava con cura l’anatomia degli animali che rappresentava, le posture assunte nelle fasi della caccia o del lavoro. Le desumeva dall’osservazione diretta e da varie fonti iconografiche come le figurine Liebig, la “La vita degli animali” di Brehm o dalla frequentazione dei Musei Civici di Reggio Emilia, per poi rielaborarle in una forma personale di espressività visionaria.