Il cane è un ottimo amico anche dell’agricoltore. Da oggi, a sancirlo, è il protocollo d’intesa messo a punto da Cia-Confederazione italiana agricoltori ed Enci-Ente Nazionale della Cinofilia Italiana, che prevede tra l’altro che oltre 4.500 agriturismi, disseminati sul territorio, saranno in grado di offrire ospitalità e il massimo del confort a cani e proprietari. Tra i contenuti delll’intesa firmata dai presidenti nazionali di Cia ed Enci, Dino Scanavino e Espedito Massimo Muto: un marchio di qualità per l’accoglienza del turismo “a quattro zampe” negli agriturismi e per gli allevamenti “doc”, interventi di recupero dell’istinto difensivo di alcune razze e consulenze fiscali per i proprietari.
Il mondo cinofilo con l’indotto muove la cifra record di un miliardo di euro circa, tra spese veterinarie, certificazioni, commercio, gare, fiere, prodotti per l’alimentazione e cura, attrezzature e oggettistica. Oltre il 75 per cento degli agricoltori ha un cane, una famiglia di cittadini su quattro ha un cane, sono circa 140 mila quelli di razza purissima censiti e che partecipano ad esposizioni e gare, muovendo un business di decine di milioni di euro ogni anno. Questa cifra cresce fino a toccare il miliardo di euro all’anno, sommando agli oltre 360 milioni del “turismo a quattro zampe”, il mercato degli allevamenti (ogni cane di pregio supera mediamente i mille euro di valore commerciale), quello dei prodotti per la cura, prodotti per l’alimentazione, farmaci, certificazioni, spese veterinarie e i fatturati dei negozi per il pet.
Del resto, si stimano in circa 2,5 milioni il numero di cani adottati dalle famiglie italiane. Cifra destinata a crescere sensibilmente, in questi tempi di grande e diffuso stress tra le persone, visti i comprovati risultati ottenuti dalla pet therapy, che vedono proprio il cane tra i migliori interpreti. Nel nostro Paese ogni anno si svolgono oltre 2.400 iniziative che vedono l’amico a quattro zampe protagonista e con loro i proprietari al seguito. Gli allevamenti di cani sono aumentati negli ultimi 10 anni di oltre il 15 per cento. L’allevare cani è, a pieno titolo, un’attività agricola, a fronte di precisi requisiti: non meno di 30 cuccioli nati entro 360 giorni e il possesso di almeno 5 femmine idonee alla riproduzione.
Altro aspetto interessantissimo, presente nell’accordo, è quello relativo alla realizzazione di progetti tesi al recupero dell’istinto difensivo di alcune razze canine, che nel tempo hanno perso la loro vocazione originaria. L’esempio più eclatante è quello del maremmano-abruzzese utilizzato per proteggere il gregge dall’abigeato in alcuni territori e in altri chiamato a difendere il gregge dall’attacco dei predatori selvatici. Tema, quest’ultimo, tornato di strettissima attualità con il proliferare e la perdita di controllo della fauna selvatica, come lupi e cinghiali, che produce danni enormi e mattanze negli allevamenti ovi-caprini e non solo. (Kronos)