Almeno 31 globicefali, note anche come balene pilota, sono morti dopo uno spiaggiamento di massa in una spiaggia della Nuova Zelanda, un luogo dove sono avvenute altri spiaggiamenti di massa di cetacei. Lo scrive la Bbc. I funzionari del dipartimento locale della fauna selvatica hanno detto che il branco era stato avvistato per la prima volta ieri, dopo che si era arenato su tre chilometri di Farewell Spit, una stretta lingua di sabbia all’estremità settentrionale della Golden Bay, nell’Isola del Sud della Nuova Zelanda.
SALVATE TRE BALENE ARENATE NELLA NOTTE
Gli stessi funzionari hanno aggiunto che oggi i soccorritori sono riusciti a salvare solo tre delle cinque balene che erano sopravvissute nella notte. L’anno scorso, i soccorritori erano riusciti a salvare 28 globicefali con pinne lunghe di un branco di circa 50 che si erano arenati sulla spiaggia. Il peggior spiaggiamento si è verificato nel febbraio 2017, quando quasi 700 balene si erano arenate, provocando la morte di 250 esemplari. L’area ha visto almeno 11 spiaggiamenti di globicefali negli ultimi 15 anni.
COME SPIEGARE LO SPIAGGIAMENTO DI MASSA?
C’è un fortissimo senso del branco, tipico dei globicefali, dietro lo spiaggiamento: quando il capobranco perde l’orientamento e si spiaggia, gli altri membri lo seguono. Così spiegava un fatto analogo la biologa marina Sabina Airoldi, della onlus Tethys, che studia i cetacei del Mediterraneo. La specie “vive in grossi branchi, da 40 a 400 individui, guidati da alcuni esemplari di riferimento” e con un “legame sociale particolarmente forte. Se un capobranco finisce sulla riva, perché ha perso l’orientamento o è malato, gli altri lo seguono”.
C’E’ ANCHE L’UOMO TRA LE POSSIBILI CAUSE
In Nuova Zelanda, spiegava ancora Airoldi, “c’è poi il fenomeno delle ‘death trap’, trappole di morte. Sono delle baie in cui, per le caratteristiche del fondale, il sonar dei globicefali rimbalza in modo anomalo e li manda in confusione. Pensate a un branco di 200 animali che vanno nel panico. Se un capo finisce in acque basse o si spiaggia, gli altri lo seguono”. Salvare i globicefali spiaggiati è molto difficile: “Se ne riporti in acqua uno, mentre vai a prendere gli altri quello torna a riva dai suoi compagni – continuava la biologa -. Bisogna riportarne in mare contemporaneamente un gran numero, così da riformare il branco”. Anche l’uomo può contribuire allo spiaggiamento: “Rumori fortissimi come i sonar militari o le esplosioni per le ricerche petrolifere, gli airgun – diceva Airoldi -, possono stordire i cetacei o lesionare gli organi interni. Così perdono l’orientamento e la corrente li spinge sulle spiagge”. (foto New Zealand Department of Conservation/Reuters)
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