Una formula genetica universale è alla base della monogamia nel regno animale e può riuscire a trasformare in monogame anche le specie che non lo sono. Lo indica la ricerca pubblicata sulla rivista dell’Accademia delle Scienze americana (Pnas), condotta dai ricercatori dell’Università di Austin, in Texas, che hanno ricostruito l’evoluzione di 10 specie di vertebrati, tra cui alcune rane, pesci e uccelli, nell’arco di 450 milioni di anni. I ricercatori hanno studiato, in particolare, l’attività di alcuni geni cerebrali, attraverso supercomputer. Sebbene le basi neurali e molecolari della monogamia siano ancora poco chiare, precedenti studi indicano che nei vertebrati sia comparsa più volte nel corso dell’evoluzione, per facilitare la sopravvivenza delle nuove generazioni. Nelle specie monogame, infatti, le cure parentali sono suddivise tra il maschio e la femmina, a differenza di quelle non monogame dove in genere è la femmina a svolgere questo importante compito. Gli autori hanno considerato monogami gli animali che creano un legame di coppia stabile nel corso di almeno una stagione di accoppiamento. Hanno, così, notato che ogni volta che nella storia evolutiva di diverse specie animali compariva la monogamia, questa corrispondeva a precisi cambiamenti nell’espressione di 24 geni cerebrali, coinvolti ad esempio nello sviluppo neurale, nella memoria e nei processi cognitivi e di apprendimento. Questi mutamenti genetici erano, inoltre, sempre simili, anche nell’arco di un periodo evolutivo lungo pari a 450 milioni di anni. Come se rispondessero a una comune formula genetica. (Ansa, nella foto due piccioni, animali-simbolo della monogamia: si sono fedeli per tutta la vita)
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