Un’etichetta comune europea per indicare i prodotti alimentari realizzati con un’attenzione particolare al benessere animale. E’ la proposta presentata dalla Germania in Consiglio agricoltura, che ha ricevuto l’adesione di oltre dieci paesi, tra cui Italia, Francia e Spagna, con i distinguo di Danimarca, Polonia e Ungheria che hanno insistito sulla necessità di un sistema volontario. “Fornire le più complete informazioni possibile ai consumatori sta diventando un fattore di competitività”, ha detto la ministra Teresa Bellanova ricordando Classyfarm, l’iniziativa italiana sul tema benessere animale. “Ma – ha aggiunto – la mancanza di un quadro Ue sta mandando in crisi il settore dell’allevamento e disorienta i cittadini”. Un sistema di etichettatura comune, ha concluso Bellanova, “in grado di valorizzare le migliori pratiche zootecniche” è importante “sia per la competitività delle imprese che per problematiche sanitarie” come la resistenza agli antibiotici. (Ansa, nella foto un’etichetta francese)
+++
AGGIORNAMENTI – LA POSIZIONE ANIMALISTA E AMBIENTALISTA
CIWF, ENPA, GREENPEACE E LEGAMBIENTE
Le Associazioni al ministro Bellanova: bene l’etichetta europea, ma niente greenwashing e comunicazioni ingannevoli. CIWF Italia, Enpa, Greenpeace e Legambiente accolgono con favore la proposta di etichettare secondo il potenziale di benessere animale i prodotti di origine animale in maniera univoca in tutta l’Ue, ma chiedono al ministro dell’Agricoltura di sostenere l’indicazione dei diversi metodi di allevamento in etichetta e criteri ambiziosi per l’etichettatura degli allevamenti al coperto. Se l’etichetta “benessere animale”, ad esempio, non indicasse chiaramente se un animale è allevato in gabbia o meno i cittadini si sentirebbero ingannati.
LEIDAA
“Sul benessere animale l’Italia sta a guardare: il governo esca dall’immobilismo e segua l’esempio della Francia e di altri partner europei”, afferma Michela Vittoria Brambilla, presidente della Lega Italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente. “Il governo italiano – specifica l’on. Brambilla – finora non è andato oltre un progetto di certificazione volontaria dei prodotti di origine animale con criteri appena superiori ai limiti di legge. Così si incoraggiano i metodi intensivi e neppure si tenta di mettere fine a stragi (come quelle dei pulcini o dei bufalotti) o a vere e proprie torture (come la castrazione e il taglio della coda dei maialini) dettate dalla pura logica della filiera industriale. Atteggiamento, oltretutto, miope, perché gli stessi consumatori di prodotti di origine animale sono sempre più attenti alle condizioni in cui gli animali sono allevati”.