E’ noto che le emissioni di gas serra nell’atmosfera hanno un grande effetto sul clima e ci sono progetti per cercare di abbatterle. Ultimo in ordine di tempo il Clean Power Plan annunciato dagli Usa ai primi di agosto. Ne ha parlato qui il Sole 24 Ore. Poche settimane prima, l’Enciclica “verde” di Papa Francesco. Ma non tutti sanno che una bella fetta delle emissioni gassose viene dallo stomaco dei ruminanti, vacche da latte e da carne in testa. Da oggi esiste un additivo per il mangime delle mucche da latte capace di ridurre del 30% le loro emissioni di metano, uno dei gas climalteranti. È quanto emerge da uno studio internazionale pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.
L’inibitore del metano è il nitrossipropanolo, che secondo gli esperti favorisce l’aumento di peso corporeo degli animali e non inficia la produzione di latte. Stando alla Fao, a livello globale gli allevamenti producono il 44% delle emissioni di metano causate dalle attività umane. Il gas a effetto serra si forma nel rumine, uno dei tre prestomaci dei ruminanti, a causa della fermentazione generata da microorganismi che aiutano la digestione, e gli animali devo espellerlo per sopravvivere.
Ma come funziona il nitrossipropanolo? “Blocca un enzima necessario a catalizzare l’ultimo step della creazione di metano nel rumine”, spiegano i ricercatori che hanno testato l’additivo su 48 mucche di razza frisona per tre mesi, ottenendo una riduzione delle emissioni di metano pari a circa un terzo, insieme a un aumento di massa corporea dell’80% rispetto alle vacche nutrite con mangime normale. Il motivo, spiegano gli esperti, “è che l’espulsione di metano, tra i 450 e i 550 grammi al giorno, rappresenta una perdita di energia per il bestiame, e l’aumento di peso è favorito proprio dall’energia risparmiata”.
Secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, un quinto delle emissioni globali (la stessa quantità prodotta in tutto il mondo dal traffico urbano), viene generato dagli allevamenti, industriali e non. “Solo cambiando le nostre abitudini alimentari e i nostri stili di vita – ha ricordato ieri Annamaria Procacci, consigliere nazionale di Enpa – potremo evitare di dover dire addio alla nostra amata Terra: senza uno stop all’industria della carne e a quel 20% di emissioni dagli allevamenti qualsiasi altra azione di contrasto rischia infatti di produrre risultati insufficienti”.
Oggi purtroppo le prospettive sono assolutamente preoccupanti. Sempre la Fao prevede che nei prossimi 35 anni il consumo di carne sia destinato quasi a raddoppiare (+73%), fino a raggiungere nel 2050 la soglia record di 465 milioni di tonnellate (nel 1950 se ne consumavano 45 milioni).