AGGIORNAMENTO DEL 12 OTTOBRE 2017 – L’ARTICOLO SUL SOLE 24 ORE DI OGGI, PAG. 32
+++
POST ORIGINALE
Sempre più spesso parliamo e ci comportiamo con i nostri animali domestici come verso membri della famiglia e facenti parte della cerchia ristretta degli affetti. Ora anche la società ne prende coscienza con un atto formale, dal momento che a Roma è stato consentito a Anna, una lavoratrice dipendente dell’Università La Sapienza, di ottenere un permesso retribuito per assistere il cane malato. L’animale, un setter di nome Cucciola, aveva bisogno di un intervento medico veterinario urgente per una paralisi alla laringe. La dipendente pubblica, single, non avendo alternative e per stare vicino al quattrozampe, ha chiesto senza successo al suo datore di lavoro, un ateneo della Capitale, il riconoscimento del permesso retribuito di due giorni di assenza. Diritto che in un primo tempo non le è stato riconosciuto e solo successivamente, grazie al supporto tecnico-giuridico offerto dalla Lav, ha ottenuto, “per la prima volta in Italia”, secondo la Lega antivivisezione. Le motivazioni giuridiche alla base della decisione sono che “la non cura di un animale di proprietà integra, secondo la Giurisprudenza, il reato di maltrattamento degli animali previsto dal Codice penale”, spiega l’associazione. “Non solo – continua – ma vige il reato di abbandono di animale, come previsto dalla prima parte dell’articolo 727 del Codice penale. E’ evidente quindi che non poter prestare, far prestare da un medico veterinario cure o accertamenti indifferibili all’animale, come in questo caso, rappresentava chiaramente un grave motivo personale e di famiglia, visto che la signora vive da sola e non aveva alternative per il trasporto e la necessaria assistenza al cane”. Soddisfatto il presidente Lav Gianluca Felicetti, che ha personalmente assistito la donna: “D’ora in avanti, con le dovute certificazioni medico-veterinarie – ha dichiarato -, chi si troverà nella stessa situazione potrà citare questo importante precedente. Un altro significativo passo in avanti che prende atto di come gli animali non tenuti a fini di lucro o di produzione sono a tutti gli effetti componenti della famiglia, e anche verso un’organica riforma del Codice Civile che speriamo il prossimo Governo e il prossimo Parlamento avranno il coraggio di fare, approvando la nostra proposta di Legge ferma dal 2008”, conclude. Anche all’esterno dell’associazione c’è chi giosce per la decisione: “Un precedente storico. Una notizia preziosissima che rappresenta un passo avanti, speriamo, decisivo, verso l’obiettivo comune che riguarda la riforma del nostro Codice Civile”, commenta il Presidente di Animalisti Italiani Onlus, Walter Caporale. (nella foto Ansa, sotto, la signora Anna, protagonista della vicenda, con la sua cagnetta Cucciola)
Qui il link al servizio del Tg1 delle 20 del 12 ottobre sul caso.
+++
AGGIORNAMENTO DELLE 16.30 DEL 12 OTTOBRE 2017 – LE ALTRE REAZIONI
MOV. ANIMALISTA
“Le famiglie vanno sostenute, anche quelle con gli animali. Ecco perché la decisione mi pare un’ottima notizia. Dà applicazione pratica ad un principio importantissimo: gli animali d’affezione sono e vanno considerati membri della famiglia a tutti gli effetti”. Lo sostiene Michela Vittoria Brambilla, presidente del Movimento animalista. “La malattia dell’animale, se non esistono alternative per l’assistenza e per la cura, dev’essere effettivamente valutata come un grave motivo personale e di famiglia dai datori di lavoro – aggiunge l’ex ministra del Turismo -. E’ un altro passo avanti verso la giusta considerazione degli animali da compagnia e più in generale verso l’auspicabile revisione dello status degli animali nei nostri codici”.
ASS. VETERINARI ANMVI
Un permesso di lavoro retribuito per assistere il cane gravemente ammalato non ha precedenti nel diritto del lavoro, ma non sorprende. “Ci troviamo di fronte ad uno di quei casi in cui la giurisprudenza e la società anticipano il legislatore”, dichiara il Presidente dell’ANMVI Marco Melosi. Per l’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani è nell’interesse del paziente animale poter contare su una assistenza certa e appropriata a casa, in situazioni di gravità e necessità sanitaria, specie se discriminanti per la guarigione e la qualità della guarigione stessa. L’accudimento domestico, senza interruzioni del piano terapeutico prescritto dal Medico Veterinario, concorre infatti alla pronta guarigione, specie in un decorso post-chirurgico di particolare delicatezza. La “compliance”, cioè il fedele proseguimento a casa delle cure impartite dal Medico Veterinario “è fondamentale per il successo dell’intervento e delle terapie veterinarie eseguite nella struttura veterinaria”, spiega Melosi. Formalmente, il permesso di lavoro è stato accordato per un grave motivo famigliare e personale, su certificazione del veterinario. “A chi si fosse sorpreso di questo – aggiunge Melosi – ricordiamo il precedente del Codice della Strada che richiede l’attestazione veterinaria dello ‘stato di necessità’ per il soccorso ad animali vittime di incidenti stradali”. Per i permessi di lavoro, l’ordinamento attuale non copre il caso della proprietaria romana, “ma se ci saranno evoluzioni il Medico Veterinario potrà senza dubbio avere voce in capitolo come è avvenuto in questo caso”, conclude il Presidente Anmvi.