Telline, anemoni di mare, stelle marine e meduse sono una piccolissima parte delle 289 specie trascinate per migliaia di chilometri attraverso l’oceano Pacifico “a bordo” di pezzi di plastica dallo tsunami che l’11 marzo 2011 ha devastato le coste del Giappone. E’ stata una vera e propria migrazione di massa, o ancora meglio un’invasione di alieni, quella descritta sulla rivista Science nella ricerca coordinata da James T. Carlton, dell’americano Williams College, e condotta in collaborazione con l’università dell’Oregon. Che titola infatti: “Tsunami of Invaders: New Study in ‘Science’ Finds a Flotilla of Invasive Species Crossing the Oceans on Marine Debris”, qui. “Un evento che, a quanto si sa, è senza precedenti nella storia”, scrivono i ricercatori, e che potrebbe cambiare l’ecosistema per sempre. Ad accompagnare gli animali marini nel loro lunghissimo viaggio, circa 7mila chilometri, sono stati milioni di residui di plastica non biodegradabili, da minuscoli frammenti a pezzi di barche e moli trascinati via dallo tsunami quando si è abbattuto sulle coste. Viaggiando come dei surfisti sui detriti plastici a cavallo di quell’onda gigantesca, le specie marine trascinate via dalle coste giapponesi hanno raggiunto quelle occidentali degli Stati Uniti. “Questo evento – ha osservato Carlton – ci ha insegnato che alcune delle specie protagoniste di questa migrazione possono essere straordinariamente resistenti. Quando abbiamo visto le prime specie marine giapponesi arrivare sulle coste dell’Oregon – ha aggiunto – siamo rimasti scioccati”. Nessuno dei ricercatori, infatti, avrebbe “mai pensato che queste specie avrebbero potuto vivere tanto a lungo in condizioni così dure”. Al momento il 20% delle specie arrivate sulle coste americane ha dimostrato di essere in grado di riprodursi, anche durante il viaggio. Tuttavia l’impatto di questa migrazione dovrà essere valutato nel tempo e dipenderà dal successo con cui le specie arrivate dal Giappone riusciranno a stabilirsi in modo duraturo nel loro nuovo ambiente, ha rilevato Steven L. Chown, dell’australiana Monash University di Melbourne, commentando la ricerca nello stesso numero di Science. In ogni caso, come hanno notato i ricercatori, si tratta di un evento che presenta anche un lato oscuro: l’ecosistema americano potrebbe essere stato modificato per sempre. La rivista pubblica anche un video, qui sotto.
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