AGGIORNAMENTO DELLE 22.50
Sempre meno animali nei laboratori di ricerca italiani: il loro numero, pari a quasi 1,2 milioni nel 1998, è ormai sceso sotto le 700mila unità. La principale causa di questo calo è la crisi economica, che ha ridotto i fondi per la ricerca: per accorgersene basta guardare alla Gran Bretagna, dove si sacrificano quasi 4 milioni di animali all’anno, o alla Germania, che ne usa quasi 3 milioni. A fare il punto della situazione è Giuliano Grignaschi, segretario generale di Research4life e responsabile del benessere animale presso l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. ”Il numero di animali impiegati in Italia equivale più o meno a quello dei topi che vengono uccisi dalla derattizzazione in una grande città come Milano”, sottolinea Grignaschi. ”Se guardiamo le percentuali, scopriamo che i più utilizzati in laboratorio sono i roditori (91%), seguiti da pesci, uccelli, conigli, suini, anfibi e rettili, bovini, ovini, caprini ed equidi. I cani e i primati non umani rappresentano percentuali molto basse, dell’ordine dello 0,007%”, continua. Inoltre, il loro impiego è strettamente regolato: ”Prima di mettere le mani su un topo – ricorda Grignaschi – il ricercatore deve avere l’autorizzazione del comitato etico del suo istituto e anche quella del Ministero della Salute, che fa valutare il progetto di ricerca all’Istituto Superiore di Sanità. La sperimentazione viene approvata solo se si dimostra che non ci sono metodi alternativi e, come impone il decreto 26/2014, non sono autorizzate procedure che possano causare stress e dolori non alleviabili con anestetici e analgesici”.
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POST ORIGINALE DELLE 18.30
L’Italia non si è sufficientemente adeguata alle disposizioni introdotte con l’apposita direttiva Ue sulla protezione degli animali da laboratorio e per questo rischia ora il deferimento alla Corte di giustizia. E’ quanto ha reso noto oggi la Commissione europea nell’annunciare l’invio di un parere motivato in cui chiede al governo di intervenire entro due mesi per mettere il Paese in regola con le disposizioni europee. Bruxelles, a fronte del recepimento della direttiva del 2010 nell’ordinamento nazionale avvenuto nel 2014, contesta all’Italia che in alcuni casi gli standard per la protezione delle cavie “restano al di sotto di quelli previsti dalla norma Ue”, mentre in altri casi risultano di molto “superiori” agli standard europei, creando delle “potenziali distorsioni al buon funzionamento del mercato unico”. Ieri, in materia di sperimentazione animale, nel decreto Milleproroghe era contenuto un rinvio al 2020 del divieto di svolgimento di procedure sugli animali per le ricerche sugli xenotrapianti (costituiti dai trapianti di uno o più organi effettuati tra animali di specie diverse) nonché per le ricerche sulle “sostanze d’abuso”, vale a dire le droghe. Sul tema si sono confrontati da posizioni opposte gli animalisti della Lav e i ricercatori di Pro-test Italia. Per la Lega antivivisezione gli esperimenti su animali di droghe, alcol, tabacco e xenorapianti, sarebbero ”particolarmente inutili per i malati e crudeli per gli animali” e i ricercatori “volutamente sordi ai metodi sostituivi di ricerca come già praticati in altri Paesi del mondo”. Dario Padovan di Pro-test spiega invece che la proroga di tre anni serve agli scienziati, che ne avevano chiesti 5, per rimanere aggrappati al treno dei finanziamenti internazionali e che “l’Italia è uno dei Paesi europei che spende di meno in finanziamenti alla ricerca, ma a quanto pare si impegna anche a impedire che la ricerca si possa finanziare da sé”. Inoltre definisce “assurdi e demagogici i divieti” che violano la Direttiva Europea in materia e che hanno innescato il processo di infrazione.