Il Festival della carne di cane della città cinese di Yulin “un affare interno che non vi riguarda”. E’ la risposta secca dell’Ambasciata cinese di Roma agli oltre 200 manifestanti dell’associazione Animalisti Italiani Onlus che si sono dati appuntamento fuori i cancelli della rappresentanza di Pechino per chiedere una mediazione e fermare la strage di cani (e gatti). Il Festival si terrà domenica 21 giugno, quando secondo la tradizione, la città della provincia del Guangxi saluterà il solstizio d’estate con banchetti a base di carne di cane. In occasione dell’evento oltre 10mila tra cani e gatti vengono macellati, bolliti e mangiati. Cani rubati ai padroni o randagi e quindi con seri rischi per la salute.
“Il nostro scopo era quello di consegnare una lettera all’ambasciatore Li Ruiyi.
E in un certo senso ci siamo riusciti, nonostante si sia rifiutato di incontrarci” ha detto Walter Caporale, presidente dell’Associazione. “Abbiamo organizzato la protesta negli orari di apertura al pubblico, ma appena arrivati l’ambasciata ha chiuso i cancelli e gli uffici. Un cordone di polizia impediva di oltrepassare un certo limite, ma un gruppo di attivisti è riuscito a superarlo e a gettare dall’altro lato del cancello la lettera rivolta al governatore del Guangxi e un paio di guanti insanguinati” ha continuato Caporale.
E non è solo una questione culturale: nel documento l’organizzazione sottolinea che “secondo dati ufficiali del ministero della Sanità cinese, ogni anno muoiono tra le 2.000 e le 3.000 persone a causa della rabbia contratta per il consumo di cani”. All’ambasciatore gli Animalisti chiedono di “intervenire presso il governo cinese per chiedere l’abolizione del consumo di carne di cane e gatto, già vietata in altri Paesi asiatici come Taiwan, Filippine, Singapore e Hong Kong”.
Yulin non rappresenta tutta la Cina, puntualizza Caporale. “A Pechino e in molte altre parti del Paese il cane è diventato uno status symbol e si spendono anche molti soldi per la sua cura e per la toeletta”. (Agi)