Il consumatore italiano di insetti è giovane, maschio, curioso e colto

Giovane, maschio e di buona cultura. E’ l’identikit del consumatore europeo più propenso ad accettare gli insetti nel proprio piatto, che emerge da un articolo pubblicato sulla rivista “Food Research International” da un team del dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa guidato dalla professoressa Gisella Paci. I ricercatori hanno messo insieme e confrontato i dati provenienti da una quarantina di studi pubblicati dal 2012 ad oggi per capire quali categorie di persone sarebbero più disponibili a consumare insetti come cibo. “Gli uomini fra i venti e i trenta anni sono i consumatori più interessati, soprattutto per una questione di curiosità – spiega Simone Mancini, che sta svolgendo alcuni progetti di ricerca sul tema degli insetti edibili – e questo vale sia al livello italiano che europeo”.

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SONO COMUNQUE PREFERITI COME INGREDIENTI CHE INTERI

Fattore curiosità a parte, dalla rassegna condotta dai ricercatori dell’Ateneo pisano emerge che le persone preferiscono comunque consumare gli insetti come ingredienti piuttosto che interi. Il disgusto provocato dal vederli gioca infatti un ruolo fondamentale. Se invece gli insetti edibili sono trasformati in “polvere” e addizionati come ingrediente a un prodotto noto, la repulsione scende notevolmente. “Gli insetti fanno parte della dieta tradizionale e sono storicamente consumati come animali di allevamento e di cattura in Asia, Africa, Sud America e Centro America – sottolinea Gisella Paci – la sfida è capire come anche in occidente si possa accettare culturalmente questo nuovo cibo”. insetti11

ALIMENTO SOSTENIBILE E FONTE PROTEICA DI ALTA QUALITA’

A favore del consumo degli insetti giocherebbero infatti molti fattori. Numerosi studi scientifici evidenziano il loro alto valore nutrizionale come fonte proteica, di lipidi, minerali e vitamine. Dalla loro parte hanno anche la sostenibilità: il loro allevamento richiede poca acqua e cibo e produce una quantità minima di gas serra. All’allevamento di bovini, al contrario, è attribuita una grossa fetta, stimata intorno al 20%, delle emissioni di CO2 che affliggono il pianeta e, inoltre, un elevato consumo di suolo, di cereali e di risorse idriche.